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Andrè Breton, Nadja

Breton Andrè

Nadja

“Chi è lei?” E Nadja senza esitare: “Sono l’anima errante” (A.B.)

Qualche giorno fa camminando nel centro di Bologna tra la gente che andava e veniva, mi ha colpito un volto. Ho l’abitudine di guardare le persone mentre cammino e quel giorno mi ha colpito il viso di una ragazza. Alta, giovanissima, molto bella, un vestito di cotone leggero a fiorellini addosso con una mantellina di lana. Era in compagnia di un ragazzo anche lui giovane, bello, alto. Avevano con loro un cane. Camminavano veloci come andassero ad un appuntamento. Non era il camminare stressato degli adulti, era il correre – da qualche parte – molto importante – dei giovani. Avrei voluto fermare quella ragazza e dirle: parlami di te. Ma purtroppo non faccio queste cose. Continuando per la mia strada mi è venuta in mente la Nadja di Breton. La situazione era la stessa. Ma lui la ragazza che l’aveva affascinato la fermò, ci parlò, la conobbe. E così poté scrivere il piccolo capolavoro che è “Nadja”. Per la mia timidezza mascherata da prudenza ho forse perso l’occasione letteraria della mia vita. La ragazza non mi avrebbe neanche risposto o mi avrebbe mandato a quel paese. Ma questa sarebbe già stata una storia da scrivere. Senza “l’incontro” non è nata nella mia mente nessuna storia.

“Nadja” fu pubblicato nel 1926, due anni dopo l’incontro fatale di Breton in una strada di Parigi con una donna bellissima e misteriosa “ giovane, vestita molto poveramente…Così fragile che, camminando pare appena poggiare sul terreno. Curiosamente truccata, come qualcuno, che avendo cominciato dagli occhi, non ha avuto il tempo di finire, ma col bordo degli occhi nerissimi per una bionda” (pag.. 55-56). L’interesse del protagonista è un interesse che io definisco fin dall’inizio letterario. La paura di non incontrarla di nuovo gli fa dire: “Che fare intanto se non la vedo? E se non la vedessi più? Non saprei più” (pag. 77).
Nadja è una donna bellissima ma strana. Esercita un potere di seduzione nei confronti degli uomini, ma nello stesso tempo se ne fa dominare. “So che le è accaduto nel pieno senso della parola di prendermi per un dio, di credere che fossi il sole” (pag. 94).
Ha continue visioni, vere e proprie allucinazioni. Lei vede mani, vede visi che gli altri non vedono. Il protagonista ne è stupito, a volte spaventato, altre ancora annoiato. Quello che lo affascina di lei è il suo insondabile mistero e il fatto che “Dal primo all’ultimo giorno ho considerato Nadja un genio libero, qualcosa come uno di quegli spiriti dell’aria che certe pratiche di magia consentono di legare momentaneamente a sé ma che è impensabile sottomettere” (pag. 94). Infatti in poco tempo il protagonista si allontana da Nadja, qualcosa nei racconti che lei gli fa continuamente della sua vita lo disgusta. Si tratta di un pugno ricevuto in pieno viso da uno dei suoi amanti. Lui non si capacita del perché lei gli racconti questi odiosi particolari della sua vita passata. “Piangevo all’idea che avrei dovuto rinunciare a vedere Nadja, no non l’avrei più potuta vedere. Certo non le serbavo rancore per non avermi nascosto ciò che in quel momento mi desolava, anzi gliene ero grato, ma che un giorno fosse potuta arrivare a questo…era qualcosa che non mi sentivo il coraggio di accettare” (pag. 99). Trovo molto bella questa sincerità nel dire che non si trova il coraggio di accettare qualcosa in qualcuno e perciò ci se ne allontana. Corrisponde esattamente a quello che succede o è successo a tutti, forse proprio con le persone più interessanti ma troppo diverse da noi.

E’ un onesto–disonesto uomo il questa storia il protagonista. Vuole sapere chi è quella donna, vuole conoscere il suo mistero, immagina che ci sia un mistero dietro quel viso bellissimo che tutti gli uomini per strada si voltano a guardare. Lui vuole sapere chi è. Come se saperlo fosse un messaggio importante da dare all’intera umanità. In effetto Nadja sente, vede cose che altri non vedono. E’ totalmente immersa nel suo inconscio. Non ha altro. Come dice il protagonista non ha quell’istinto di conservazione delle persone per bene che tutti siamo. “ Io non ho mai sospettato che Nadja potesse perdere o avesse già perduto il favore di quell’istinto di conservazione che induce dopo tutto i mie amici e me, ad esempio a comportarci bene – limitandoci a voltare la testa dall’altra parte al passaggio di una bandiera, a non profittare di qualsiasi occasione per prendercela con chi ci pare, a non concederci il piacere ineguagliabile di commettere qualche bel sacrilegio” (pag. 126).
Nel romanzo Nadja finisce in manicomio. E qui quel “comportarci bene” assume un significato ben preciso. Non fare la sua stessa fine. L’invettiva finale di Breton contro i manicomi non serve a mascherare questa paura: e se capitasse anche a me? Se mi venissero a prendere perché non mi comporto abbastanza bene? A Nadja succede proprio così. “ Sono venuti a dirmi che Nadja è pazza. In seguito a certe stravaganze cui si era abbandonata, pare, nei corridoi del suo albergo, aveva dovuto essere internata nel manicomio di Vaucluse” (pag.121). Il protagonista è preso dai rimorsi. Forse il suo intervento nella vita di Nadja ha favorito lo svilupparsi della sua pazzia, intervento che era stato favorevole allo svilupparsi delle sue idee deliranti. Infatti non osa neanche informarsi su quello che può esserle capitato e si pente di averla incoraggiata a seguire la strada dell’estrema libertà. “E’ dall’inoltrarsi in questa direzione che forse avrei dovuto trattenerla rendendomi conto del pericolo che correva” (pag. 125).
Il protagonista nell’ultima parte di questo romanzo breve e frammentario , si innamorerà di nuovo. E questa volta “davvero”. Non cercherà in questo nuovo amore il perché, il chi sei. In lei tutto è sole, tutto è manifesto. “ Tu non sei un enigma per me”, dice il protagonista, “ Voglio dire che tu mi distogli per sempre dall’enigma” (pag. 139).
Bellissimo frammentario libro questa Nadja di Breton. Che non nasconde nulla, nemmeno la paura della donna troppo libera, nemmeno la paura della pazza e della pazzia. E neanche nasconde quello che gli artisti sempre fanno: rubare la vita degli altri.

Dianella Bardelli

www.lankelot.eu

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